
Come è stato precisato, la collocazione originaria del dipinto, che proviene dalla chiesa del Carmine, non era quella che risultava al tempo della prima segnalazione di M. Paone, cioè nella semilunetta destra del coro, ma, certamente, date le dimensioni, un altare. La sistemazione nel coro doveva essere antica, se risultava già tale al tempo del De Simone, che sicuramente si riferiva a questo dipinto e ad una Annunciazione, quando segnalava tra gli altri della chiesa due quadri “belli” nel coro.
Il recupero dell’opera, avvenuto in occasione della mostra del 1995, ancorché confermare la paternità di Finoglio, ha consentito alla critica di valutarne la qualità e soprattutto il suo inquadramento nel corpus delle sue opere salentine. Sia pure con qualche piccola oscillazione in più e in meno, si è ormai concordi nel datarla intorno al 1620 e in fondo alla serie dei dipinti salentini per la presenza evidente di cadenze stilistiche riferibili al primo naturalismo napoletano, quello cioè rappresentato da artisti come Sellitto, Vitale, Battistello, e per l’avviato superamento della lezione di Ippolito Borghese, concordemente ritenuto suo primo maestro e anch’egli presente con sue opere in territorio salentino e in Puglia. La critica è inoltre concorde nel ritenere il dipinto la sua opera giovanile compositivamente più impegnativa, per numero di figure e per il soggetto stesso. Il sacrificio come testimonianza della Fede assumeva nella vicenda di S. Orsola e delle compagne una dimensione collettiva, il che era impegno non di poco conto, al quale l’artista non si sottrasse, anzi, scegliendo di rappresentare il momento più drammatico dell’evento, ne corse tutti i rischi. Come una nuova strage degli innocenti, rappresentò i carnefici nell’atto di infliggere il colpo mortale alle giovani martiri e gli effetti della loro azione nelle tre figure riverse in primo piano, oramai raggiunte dal pallore della morte, ma anche la rassegnata e implorante attesa delle altre nelle delineate espressioni psicologico-emotive dei loro volti, cui fa da contrappunto la risoluta e trionfante avanzata di Orsola, che, impugnando lo sventolante vessillo, va verso il carnefice che sta per scoccare la freccia mortale. Per fare ciò Finoglio fece ricorso a tutte le possibilità espressive della cultura figurativa fino a quel momento assimilata. La lezione del naturalismo gli forniva, infatti, ora un diverso modo di utilizzare la luce: per rivelare la verità fisica delle figure morte in primo piano, per animare i gesti e le espressioni delle altre figure.