Firmato e datato 1766, il dipinto è opera della piena maturità dell’artista. Le sue prime opere datate risalgono, infatti, ai primi anni trenta, quando, cioè, completata la sua formazione, egli risulta ormai inserito nel contesto artistico contemporaneo di Terra d’Otranto. In assenza di notizie relative alla formazione sono quelle opere che rivelano le sue scelte artistiche, allora orientale verso i modi classicizzanti di Luca Giordano, quale era documentato anche a Lecce dalle opere di Paolo De Matteis e Giovan Battista Lama. Questo orientamento, come sembra confermato dagli sviluppi successivi, fu probabilmente motivato dalla migliore adattabilità di quello stile alla interpretazione delle esigenze più schiettamente devozionali, senza rinunciare ad una certa nobilitazione. Non a caso egli avrebbe utilizzato anche la cultura barocca, ridotta, però, ai soli schemi compositivi, per intenti scopertamente celebrativi. Come avviene nel presente dipinto, rimasto fino ad oggi sostanzialmente sconosciuto alla critica e che si presenta esemplare dal punto di vista delle soluzioni adottate. La sua funzione è già scopertamente dichiarata dal tema iconografico, la celebrazione dell’investitura di S. Oronzo a Patrono della città di Lecce. Il ricco apparato iconografico lascia supporre una programmata elaborazione del soggetto da parte di un consulente esperto. V’è, infatti, un coerente legame semantico tra i vari motivi che compongono l’iconografia. Il Cristo, Salvator mundi – poggia la sua mano sul globo – è la sorgente dalla quale vengono al Santo le armi della sua militanza, è Lui che indica all’angelo il destinatario della lancia, consegnata a completamento dell’armatura e dello scudo, che porta l’insegna del suo mandato. Tale mandato comporterà la sua elevazione alla dignità episcopale, simboleggiata dal pastorale che un angioletto tiene nella mano sinistra, ma anche il suo sacrificio, simboleggiato dalla croce che lo stesso angioletto regge con la destra e richiamato direttamente dai segni del suo martirio, retti a loro volta da un altro angioletto. Un ulteriore motivo simbolico è costituito dalla bilancia, sorretta da un altro angioletto, chiaro rimando alla giustizia divina. Il programma iconografico è completato nella zona inferiore dalla parziale veduta della città di Lecce – si riconosce l’arco di Carlo V al tempo ancora legato alle mura cinquecentesche -, da due figure atterrite che corrono e, relegata nell’ombra, in basso a sinistra, la figura del demonio, ormai sconfitta. Bisogna dire che al di là del complesso iconografico, il dipinto si rivela tra le migliori opere dell’artista, avendo egli saputo conciliare il mosso impianto barocco con la definizione plastica e disegnata delle forme, un connubio che si è rivelato funzionale alla finalità celebrativa del dipinto.