Segnalato fugacemente e attribuito ad Ippolito Borghese dallo scrivente, tolta un’altrettanto fugace segnalazione di M. D’Elia, il dipinto non ha goduto di ulteriore attenzione. Eppure, non poco spazio è stato dedicato dalla letteratura critica alla presenza di opere del Borghese in Puglia, annoverando, tra l’altro, proprio la Terra d’Otranto la sua opera di più antica datazione, la Madonna col Bambino e Santi del 1601, della chiesa di S. Maria della Grotta a Carpignano.
Il dipinto, in realtà, merita qualche parola in più, non solo per la sua qualità, ma anche per il problema che pone circa la sua vera fisionomia. Va, infatti, subito osservato che il soggetto nella sua formulazione appare insolito, perché il tema della Vergine in gloria era al tempo più consuetamente formulato con la presenza di figure di santi. Il sospetto di un’anomalia iconografica non è ingiustificato se si guarda al modo in cui le figure della Vergine e del Bambino sono atteggiate, entrambe hanno infatti lo sguardo rivolto in basso.
A ciò va aggiunto che il gruppo Vergine-Bambino non è perfettamente in asse, cosa anch’essa insolita, tanto più se originariamente prevedeva la presenza di santi che di solito erano disposti secondo il classico schema triangolare, cioè con la loro disposizione simmetrica rispetto all’asse del triangolo. Tutto, dunque, lascia credere che il dipinto potrebbe aver subito una decurtazione della zona inferiore e sul lato destro e che la sua destinazione originaria fosse naturalmente un altare, come sembrerebbero confermare anche le attuali dimensioni, non del tutto consone ad un quadro da stanza.
Nonostante il suo stato di frammento, il dipinto fornisce elementi sufficienti per proporne un inquadramento nella produzione del pittore dei primi anni del ‘600, essendo i confronti più plausibili opere come l’Assunta del Monte di Pietà a Napoli – evidente la parentela tra gli angeli musicanti – o ancor più come la Madonna col Bambino e Santo martire dei depositi di Capodimonte, con le quali condivide le morbidezze e le preziosità baroccesche e anche il tono dolcemente sentimentale, ancora lontano dal più scoperto patetismo delle opere più tarde.