I Paramenti Liturgici

Anche i paramenti sacri, come gli argenti, documentano la ricchezza di significato che essi avevano nel rituale liturgico, una ricchezza che si esprimeva nel loro stesso carattere sontuoso derivante dalla qualità dei tessuti fatti di fibre pregiate (seta, oro e argento) e dalla tipologia dei motivi decorativi, spesso relativi a simbologie legate alla vita di Cristo, della Madonna e dei Santi.

Gli esemplari esposti attestano altresì il ruolo dei vescovi, che non disdegnarono di legare anche ai paramenti il ricordo del loro episcopato, facendo inserire su pianete e piviali, tra i motivi decorativi, le proprie insegne, e documentano nella varietà dei tessuti e delle relative manifatture l’ampiezza dei rapporti con i centri più noti della produzione tessile.

La Chiesa, fin dalle origini, ha assegnato ai paramenti liturgici indossati dai celebranti e agli arredi tessili, destinati ad ornare i luoghi di culto (bandinelle, paliotti, drappelloni, rivestimenti di colonne e pilastri, tendaggi, ecc.), un ruolo primario tanto da potere essere definiti vesti e tessuti sacri. Protagonisti assoluti, insieme ai gesti del celebrante, all’elevazione del calice o dell’ostensorio, al canto, alla lettura dei testi sacri, di tutte le cerimonie religiose, la confezione dei paramenti è sempre stata realizzata con stoffe rese pregevoli dalla scelta delle fibre tessili più sontuose (seta, oro e argento), dalle soluzioni tecniche e soprattutto dalla scelta dei soggetti decorativi che via via si sono caricati di complesse simbologie, sempre legate alla vita di Cristo, della Madonna e dei Santi. Queste peculiari caratteristiche si possono riscontrare nei tessuti e nei ricami de ti nati a rendere sontuose le vesti liturgiche, ma anche per sottolineare le solenni cerimonie, unitamente ai colori che indicavano ai fedeli i “tempi” dell’anno liturgico e le particolari ricorrenze religiose.

Il canone dei colori liturgici, ovvero le regole che indicano l’uso nelle varie feste e solennità, venne redatto ed esteso a tutta la Chiesa, con alcune eccezioni per la liturgia ambrosiana, solo a partire dalla seconda metà del XVI secolo, in seguito alla riforma liturgica di papa Pio V. Tuttavia, se i primi cristiani non conobbero tali regole, già durante il periodo carolingio sono state rintracciate indicazioni sull’uso dei colori per i paramenti liturgici.

Con Innocenzo III (1160-1216, papa dal 1198) inizia ad essere tracciato un primo anone dei colori, derivante dalla mentalità di attribuire una propria simbologia a tutto l’arredo liturgico, ma interessò solo la Chiesa di Roma, pertanto i colori continuarono ad essere diversi a seconda dei tempi e dei luoghi. Con il messale riformato da Pio V si possono considerare colori liturgici il bianco (o argento) (indicato per le celebrazioni dei Santi Angeli, per la nascita di San Giovanni Battista, per Natale, per l’ Epifani a, per la Presentazione al Tempio e per la Purificazione, per il Giovedì Santo, a Pasqua, per l’Ascensione), il giallo (o oro) (raccomandato per il Natale e la Pasqua, tuttavia è un colore polivalente che può sostituire tutti gli altri ad eccezione del viola), il verde (colore ordinario più usato, si può indossare nelle celebrazioni nelle quali non si ricorda il Signore, la Madonna o i Santi), il rosso (prescritto per la Pentecoste, per la domenica delle Palme, per il Venerdì Santo, per l’esaltazione della croce e nelle feste degli Apostoli e dei Martiri), il rosaceo (usato solo due volte all’anno: la terza domenica di Avvento – domenica “Gaudente” – e la quarta domenica di Quaresima “Laetare”), il viola (usato nei tempi d !l ‘Avvento e della Quaresima; dopo il Concilio Vaticano Il è usato per le cerimonie funebri ), il nero (usato al tempo di Pio V per le cerimonie funebri, di suffragio e per i I Venerdì Santo; oggi per le celebrazioni funebri è preferito il viola, mentre per il Venerdì Santo è usato il rosso per ricordare il sangue di Cristo). Se per molti secoli la Chiesa ha scelto fra i tessuti auro- serici destinati al costume e all’arredo profano, il colore liturgico veniva indicato dalla tinta di fondo, ha però sempre cercato di individuare la qualità e la bellezza formale di tali manufatti, riservando grande attenzione ai decori che potevano suggerire una simbologia appropriata al culto cristiano, soprattutto ricercata nei soggetti floreali-vegetali, i quali da sempre sono stati indagati dai disegnatori. Riguardo ai ricami, invece, i soggetti decorativi destinati a rendere unici i paramenti liturgi i venivano concordati con la committenza ecclesiastica che dal Medioevo al tardo Rinascimento faceva appositamente realizzare, spesso in ambito conventuale, soggetti figurativi riguardanti episodi tratti dalla vita di Cristo, della Madonna e dei Santi; queste speciali richieste continuarono anche quando le immagini figurative lasciarono il posto ai decori fio real i e vegeta I i, preferiti a partire dall’epoca barocca, fino al XX secolo, come testimoniano anche i numerosi paramenti ricamati ancora conservati nella sagrestia del Duomo di Lecce. Provenienti tutti dal patrimonio del Duomo di Lecce, i paramenti qui esposti, come hanno dimostrato le ricerche archivistiche e le ricognizioni effettuate da Regina Poso, sono solo parte di un patrimonio, che, come ha verificato la studiosa recuperando la testimonianza delle fonti, sarebbe dovuto essere ben più ricco.

La descrizione della festa e della processione che veniva fatta nei «giorni del Santissimo Corpo di Christo il dì dell’ottava», che G. C. Infantino ci ha lasciato, parla di una città ornata di «bellissimi apparati » come «tutta la chic a on panni di seta, e di broccati ». Come riferiscono le “Cronache” del Panettera, per l’arrivo a Lecce del vescovo Pappacoda, nel 1639, il cortile vescovile fu «rivestito di sete»; unico e spettacolare fu certamente reso il Duomo dagli apparati tessili usati per i festeggiamenti di Sant’Oronzo nel 1654 e nel 1657, «dopo che la città era stata preservata dalla peste ». Molti degli antichi parati furono distrutti nel XVII secolo, quando il Duomo fu ricostruito; non più presenti, inoltre, risultano i numerosi parati di “lama”, damasco e di “tabi ondato nero” che monsignor Pappacoda aveva fatto confezionare, come è ricordato in un inventario del 1671. Fra i più antichi parati ricordiamo due drappi di velluto cesellato rosso, usati per rivestire l’altare di Sant’Oronzo, i quali presentano uno il motivo minuto geometrico e l’altro il cosiddetto decoro “a mazze”, riferibili alla fine del XVI secolo. Alla medesima tipologia decorativa appartiene una pianeta di velluto riccio nero, rilevato sul fondo in taffetas di seta bianca, dove si intuisce il lieve incurvarsi degli steli con foglie e fiori disposti in sequenze orizzontali e ripetuti a scacchiera nell’iterazione verticale; il decoro è sottolineato dal contorno realizzato a ricamo, nella tecnica di applicazione, eseguito in oro filato che impreziosisce il manufatto e tempera la rigidità del decoro del tessuto. La nuova tendenza decorativa, destinata all’abbigliamento, nasce e si sviluppa durante la seconda metà del XVI secolo, soprattutto dal 1580, e si protrae fino al 1630 circa; in questo lasso di tempo si concretizzano due tipologie base: la prima ancora legata agli schemi ogivali, che incorniciano un motivo vegetale o floreale sempre più stilizzato, presi in prestito dal tardo Rinascimento, ma risolti in soluzioni dimensionali alquanto ridotte. L’altra tipologia, più innovativa, nasce alla fine del Cinquecento e si protrae nei primi decenni del nuovo secolo; quest’ultima consiste in uno schema disposto a scacchiera, ma contrapposto per direzione nell’iterazione verticale, composto da brevi rametti recisi definiti “mazze”, inizialmente “nudi” e poi resi più graziosi, dinamici e naturalistici grazie all’incurvarsi del rametto e alla presenza di piccole foglie e fiori, certo da associare al simbolico ramo secco rifiorente di chiara derivazione rinascimentale. All’evoluzione dei disegni corrisponde anche la nuova tecnica del velluto cesellato, che troverà la sua più alta espressione proprio in questi drappi serici realizzati per quasi un secolo.

Se le ricerche stilistiche si concentrano sulla definizione di sempre nuovi elementi floreal-vegetali, inizialmente geometrici e stilizzati per poi presentarsi sempre meno rigidi e più naturali ti i, quelle tecniche sperimentano tutte le possibilità che poteva offrire il velluto cesellato. Furono redatti drappi di velluto riccio, attestati anche dai documenti d’archivio, come si riscontra nella pianeta del Duomo sopra ricordata, ma si ricercano attraverso l’uso degli anelli (che appaiono di tonalità più chiara e brillante, solitamente più bassi e usati per i contorni dei motivi) e dei ciuffetti di pelo (di tonalità intensa e cupa, più rilevati e impiegati per campire il disegno), contrasti cromatici, effetti di bassorilievo che contribuiscono a rendere sempre nuovo il decoro, rispondente al gusto barocco legato all’illusione, al continuo cambiamento e all’inganno, determinando così un gioco visivo, che, a seconda della rifrazione della luce, permette la lettura di uno o dell’altro motivo originando «l’annullamento del piano del tessuto come superficie piatta».

I velluti cesellati e quelli ricci furono ampiamente preferiti sia per la realizzazione di abiti civili che per la confezione liturgici; ugualmente diffusi anche in ambito ecclesiastico furono i damaschi, i rasi lanciati, i gros de Tours lanciati e laminati, come attesta la pianeta rossa nella quale è ancora presente il motivo “a mazze”, ma disposto in modo più articolato per l’incurvarsi dello stelo. Questo cambiamento indica un nuovo orientamento decorativo che si diffuse a partire dagli inizi del XVII secolo nella produzione dei drappi auroserici realizzati nelle ancora prestigio e manifatture italiane.

Dopo il 1640 si ricercano disegni più consistenti che indulgono a forme esuberanti rese in modo dinamico, come indicava la concezione barocca. Fiori piegati e indagati si ergono su steli ricurvi, secondo un linguaggio decorativo italiano, sovente isolati fra di loro secondo lo schema del “motivo isolato” riscontrabile nelle soluzioni del damasco e del damasco broccato, nei quali si creano i tipici effetti di sovrapposizione. Queste caratteristiche si ritrovano in una pianeta nella quale un lumino o motivo floreal-vegetale descritto dalle trame broccate d’oro filato si staglia dal fondo di seta rossa per orso da continui bagli ori aurei, creati dalle trame supplementari lanciate d’oro lamellare. Alcuni paramenti sono databili all’ultimo quarto del XVII secolo e furono fatti eseguire
dai tre vescovi Pignatelli, come attestano gli stemmi; tra questi, due pianete in gros de Tours laminate d’oro, un tessuto assai attestato in ambito ecclesiastico per confezionare paramenti e arredi liturgici perché rispondevano ai bisogni di decoro e ricchezza affidati ai bagliori delle trame d’oro lamellare. Una di esse è arricchita di ricami, ad imitazione di un gallone, che definiscono la croce anteriore, la colonna posteriore e l’incollatura, condotti nella tecnica di applicazioni con parti imbottite e realizzati in oro e argento filati.

Ancor più rispondenti al gusto barocco risultano due pianete ricamate, forse di manifattura napoletana, donate sempre dal Pigna! lii: una in teletta d’argento ricamata in oro lamellare, filato, riccio, canutiglia e connettore, l’altra rossa ricamata in oro e argento filati. I disegni floreali prescelti si orientano verso la ricerca di dinamismo, mentre le lince curve e i soggetti floreali e vegetali ricercano consistenze e orientamenti naturalistici, resi più evidenti anche dal forte rilievo, come meglio attestano i ricami di due paliotti, uno in velluto rosso con ricami in oro e l’altro dal fondo in teletta di seta gialla laminata d’oro (di epoca posteriore) con ricami in argento, donati da Antonio Pignatelli dopo e sere stato eletto papa (16q I ), nei quali alcune parti risaltano per il forte rilievo, spesso affidato ad imbottiture fatte con fili di cotone, cartone, legno, cera, cuoio. Da attribuire alla fine del XVII se colo risulta un’altra pianeta confezionata con un raso gros de Tours broccato uscito da una manifattura serica italiana. Il pregiato e insolito drappo, corrispondente alle caratteristiche tecniche tipiche dell’epoca tendenti a creare piani di lettura bidimensionali, presenta una decorazione incentrata sull’elemento floreale di ispirazione esotica intervallalo da astratte composizioni disposte in diagonale, ora volte a sinistra ora piegate verso destra, anch’esse intrise di gusto quasi cinese, il tutto interpretato in chiave occidentale e incline verso soluzioni naturalistiche che troveranno maggiore diffusione nel corso del Settecento.

I paramenti realizzali durante il XVIII secolo che sono tutt’oggi conservati nel Duomo di Lecce attestano le varie tipologie che si avvicendarono durante il secolo. Dopo la fase dei tessuti d finiti a “merletto” e a quelli bizzarri, così definiti per la decorazione assai stilizzata di elementi alquanto strani e non riferibili a forme corrispondenti alla realtà, si passa ai disegni post-bizarre e a quelli lussureggianti, per poi entrare, intorno al 1 730, nella fase dei motivi naturalistici, promossi e lanciati dalle manifatture tessili lionesi e ideati prima dal francese Courtois e poi da Jean Revel (1684-1751 ), pittore allievo di Lebrun, i quali idearono anche la tecnica del “point rentré” ovvero il “tratteggio spolinato”, che consentiva passaggi tonali facendo entrare le trame broccate contigue le une dentro le altre, per ottenere la tanto ricercata “terza dimensione” anche nei tessuti operati. Queste novità stilistiche e tecniche si possono riscontrare in alcuni parati della Cattedrale: una pianeta confezionata con un lampasso broccato dal fondo giallo oro dove l’esuberanza delle composizioni floreali e il gusto esotico rivelano il nuovo indirizzo e la preziosità di questi drappi affidata anche al largo impiego di trame broccate metalliche; un’altra pianeta dal fondo marrone propone il motivo ad “isolotto” composto da cornucopie e vasi baccellati d’argento, dai quali fuoriescono trionfali, rigogliose e policrome inflorescenze tratte dal repertorio orientale.

Il Rococò preferì uno stile «grazioso, elegante, spensierato, ove tutti i generi andavano bene fuorché il noioso», pertanto il mondo decorativo orientale, come la Cina, il Siam, l’India o il Messico, sovente confusi tra loro nell’immaginario occidentale, catturò maggiormente l’interesse della società settecentesca, «sofisticata, indifferente, di raffinata cultura» a scorgere un’ intesa con le espressioni artistiche orientali. Ecco che durante gli anni Quaranta nella decorazione tessile continua l’ interesse per la “cineseria”, ma i tessuti, per corrispondere alla moda più leggiadra ed estro a, i fanno più leggeri così come i disegni risultano più articolati, leziosi e rinnovati nella policromia, ora più incline alle tonalità pastello e acquerellate. Databili intorno alla metà del XVIII secolo, uscite da una manifattura lionese e corrispondenti alle caratteristi che sopra esposte, risultano, fra le altre, due pianete nelle quali si riscontra la leziosità decorativa floreale attenta a rispettare il naturalismo ancora in voga. I fondi chiari operati da minuti disegni vegetali e geometrici mettono in risalto i sottili tralci sinuosi che correggono fin troppo grandi fiori esotici, re i irreali e preziosi per la totale braccatura in oro filato, a loro volta intrecciati da tralci di rose.

Anche il successivo disegno “a meandro”, che individua la decorazione tessile del terzo quarto del XVIII secolo e oltre, è attestato nei paramenti del Duomo. Questa nuova e sinuosa tipologia decorativa, la cui «bellezza consiste nel creare forme ondulate», come afferma il pittore inglese William Hogarth (1697-1764) nel libro L’analisi della bellezza pubblicato nel 1753, propone nastri eri i, nastri di pelliccia maculala, bordure di merletto piegate, trai i e rami, festoni composti da piccoli fiori, anche fra loro intrecciati e ornati nelle anse da bouquets policromi che risaltano sui fondi uniti di taffetas, taffetas doublé, gros de Tours, lutti lavorati con fili di seta tinti n Ile “nuances” più chiare, ma anche realizzati con taffetas cangianti.

Fra i paramenti confezionati con simili tessuti ricordiamo la pianeta in taffetas broccato dal fondo azzurro cielo, da assegnare ad una manifattura francese e databile intorno al 1760, sul quale risaltano esili e sinuosi tralci fioriti nelle cui anse sono collocati bouquets composti da fiori ancora interpretati in chiave naturalistica. Non scompaiono del tutto le braccature metalliche, anche se impiegate sempre più spesso in limitale zone del decoro, come si può osservare in una pianeta, da attribuire a manifattura francese, dal fondo bianco sul quale spiccano piegati nastri serici di colo azzurro che compongono un serpentinato andamento verticale, assai mosso, entro il quale dispongono rametti biforcati con foglie verdi e fiori redatti con sfumature di rosa; fra questi alcune parti della struttura portante sono state eseguite con trame broccate d’oro filato come Ie forme inclini alla “rocaille” che si alternano a segnare l’incurvar si del nastro. Un’altra pianeta, dal fondo color pervinca, sempre di manifattura francese, presenta le stesse caratteristiche tecniche, anche se la resa formale del “meandro”, qui affidato ad un bordo di merletto bianco intrecciato da una ghirlanda fiorita, assume un aspetto più rigido e meno serrato, che suggerisce una datazione da ricercare fra il 1760 e i il 1770. Sono, inoltre, attestati i tessuti dove si riscontra il distendersi del “meandro” per poi sconfinare nella riga che interpreta, anche per l’abbigliamento, i tessuti neoclassici caratterizzanti dai colori chiari e soprattutto i bianchi naturali, sui quali risaltano, qua e là, anche ridotti motivi floreali. Ampiamente attestati risultano i ricami settecenteschi, ancora inclini al gusto barocco, nei quali ritroviamo un vario repertorio floreale associato a volute e cornici che interpretano meglio le leziosità del gusto rococò.

Fra i vari ricordiamo la mitria ricamata in argento on gli stemmi del vescovo Scipione Sersale (1744-1751) e la pianeta confezionata in gros de Tour rosso ricamato, con la tecnica di applicazione con parti imbottite, in oro lamellare, filato, riccio e canutiglia dorata, che reca lo stemma vescovile di Alfonso Sozi Carafa (1751-1783) dove convivono cornici, “rocailles”, palmette, foglie acatiformi, fiori, volute e il tipico motivo del “baldacchino” o “lambrequin”, sistemato in alto alla colonna.

Molti altri paramenti liturgici meritano l’attenzione e la rivalutazione, come ad esempio gli esemplari del XIX e del XX secolo, le numerose mitrie, gli ombrellini processionali completamente ricamali, lo splendido baldacchino bianco ricamato in oro con al centro la colomba dello Spirito Santo inondata da dardi irregolari, i calzari, verdi, rossi e bianchi come i guanti, tutti ricamali in oro.

Un ricco cd eterogeneo patrimonio tessile e di ricamo che aspetta di essere “riscoperto” e fatto conoscere, affinché venga salvaguardato e consegnato ai posteri quale segno di attività artistico-artigianali elaborate da specifici artefici, ma anche segno di venerazione e culto verso tutta la cristianità e simbolo di pace espresso anche dai paramenti liturgici realizzati nei secoli passati e ancora conservati nella Cattedrale di Lecce.