Restauri per il Museo Diocesano

p_012La Diocesi di Lecce coincide per gran parte con il patrimonio culturale della città e del territorio circostante, che da tempo si distingue e si caratterizza con qualità proprie e individualità largamente riconosciute.

Nonostante che la Chiesa di Lecce fosse pienamente e da tempo convinta della necessità di raccogliere le testimonianze più preziose della fede e coltivarne la loro memoria, soprattutto per quanto attiene i beni mobili, più soggetti a rischi di asportazione e di perdita, era tuttavia mancata sempre l’occasione per la costituzione di un contenitore adeguato alla loro raccolta ed esposizione. La conservazione di tali testimonianze rappresenta infatti anche l’occasione per il perpetuare la funzione evangelizzante di tali beni riproponendoli come strumento pastorale.

Questa improcrastinabile esigenza ha coinciso con l’opportunità del restauro di una delle unità architettoniche più caratterizzanti lo spazio urbano cittadino quale l’antico Seminario in Piazza Duomo.

Documento architettonico di pregio realizzato allo scadere del XVII secolo, su progetto di Giuseppe Cino, il Seminario era stato mortificato e sovraccaricato da strutture aggiuntive che in alcuni casi avevano svilito la sua qualità complessiva, comportando fra l’altro anche la scomparsa delle originarie coperture terminali a tetto, ancora riscontrabili nelle foto storiche dell’inizio del secolo XX.

Obiettivo primario del restauro è stato quindi la liberazione da tramezzature intermedie, da solai laterocementizi e da strutture in cemento armato di notevole portata; queste avevano fatto perdere completamente le spazialità interne dei due ampi saloni del primo piano del complesso architettonico.

Inoltre la rimozione di tali abbondanti superfetazioni ha consentito il recupero di spazi interni scoperti e poco noti, favorendo una migliore doppia illuminazione del salone settentrionale, e anche il ripristino della piena leggibilità di una poco conosciuta facciata esterna posteriore del salone occidentale, la quale ha così ritrovato in pieno la cadenza delle proprie finestrature settecentesche rivolte ad ovest.

Il recupero delle spazialità interne dei due saloni così liberati ha reso necessario procedere poi a differenti scelte nel rinnovato utilizzo:

  • un primo elemento di differenziazione ha coinciso con la diversa situazione distributiva e statica legata soprattutto alla presenza di due originali vani di piccola dimensione, collocati solo in uno, in corrispondenza delle finestrature rivolte verso il chiostro principale;
  • altro elemento differenziante le due situazioni è stata inoltre la diversa qualità decorativa delle due facciate lunghe e opposte rispetto a quelle rivolte verso il chiostro principale: nel mentre il salone occidentale presenta un’architettonicamente composta facciata esterna, il salone settentrionale ha solo un prospetto a doppia altezza rivolto verso modestissimi spazi scoperti e totalmente privi di qualsivoglia apparato decorativo.

E’ nata così l’opportunità di utilizzare solo parzialmente la doppia altezza di quest’ultimo salone per potenziarne la sua capacità di raccolta ed esposizione museale, mediante la realizzazione di una leggera struttura di ammezzato addossata proprio verso quel lato dotato di una facciata esterna non di pregio.

L’esigenza di non ricadere nella precedente situazione d’intasamento degli spazi e dunque nella conseguente impossibilità di percepire l’originale dimensione interna del salone nella sua totalità ha suggerito pertanto una doppia scelta:

  • la rinunzia ad impegnare per intero la profondità esistente tra i lati lunghi del salone settentrionale;
  • la volontà di utilizzare esili elementi strutturali in acciaio e nuovi piani orizzontali in grigliato, che in qualche modo filtrassero e mantenessero comunque visibile la distanza tra pavimento e coperture.

L’impiego dell’acciaio quale elemento strutturale costituisce dunque una voluta sottolineatura del nuovo inserimento, che tenta così di distinguersi e datarsi rispetto alla recuperata struttura muraria originale.

Analoga problematica è sorta al momento della scelta, nel rinnovo, delle coperture terminali; a fronte di antiche documentazioni fotografiche ed aeree degli esterni del complesso architettonico, comprovanti la presenza e l’estensione di tetti a falda su tutti i volumi terminali, le notevoli operazioni liberatorie condotte sulle pareti interne degli apparati murari non hanno fornito tracce esaurienti circa le dimensioni e la cadenza delle originali strutture lignee di sostegno alle antiche falde di tetto.

Da ciò, nel mentre è stato possibile dedurre dalla documentazione fotografica gli ingombri volumetrici complessivi, è derivata la scelta d’impiegare l’avanzata tecnologia del legno lamellare nella riproposizione delle coperture terminali a tetto, aspirando unicamente ad un richiamo cromatico e materico capace pur tuttavia di rinviare con immediatezza alle originali spazialità.

Purtroppo le testimonianze dell’apparato decorativo interno sono risultate limitate ad un unico e contenuto brano di affresco posto sulla testata orientale del primo salone; da esso è tuttavia intuibile il motivo decorativo delle originali pitture interne, riproducenti finte architetture impostate su lesene e paraste di ordine tuscanico: proprio la presenza del nuovo soppalco ne consente ora una leggibilità ravvicinata, altrimenti estremamente distante dalla pavimentazione principale del salone.

Il nuovo soppalco, ponendosi inoltre quale spazialità a margine rispetto ai due saloni principali, si è naturalmente proposto come luogo più idoneo per la collocazione delle vetrine in cui proteggere e raccogliere preziosi, tessuti e argenti.

La presenza della struttura in acciaio nella parte inferiore del salone settentrionale, di sostegno al soppalco medesimo, ha poi suggerito l’opportunità di agganciare alla stessa pannelli bifacciali scorrevoli, capaci di rendere il medesimo spazio estremamente flessibile, modificabile e dunque disponibile per soluzioni espositive temporanee alternative o integrative della raccolta stabile.